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Apuleio
Metamorfosi (l'asino d'oro), XI, 3
 
originale
 
3. Ad istum modum fusis precibus et adstructis miseris lamentationibus rursus mihi marcentem animum in eodem illo cubili sopor circumfusus oppressit. Necdum satis conixeram, et ecce pelago medio venerandos diis etiam vultus attollens emergit divina facies; ac dehinc paulatim toto corpore perlucidum simulacrum excusso pelago ante me constitisse visum est. Eius mirandam speciem ad vos etiam referre conitar, si tamen mihi disserendi tribuerit facultatem paupertas oris humani vel ipsum numen eius dapsilem copiam elocutilis facundiae subministraverit. Iam primum crines uberrimi prolixique et sensim intorti per divina colla passive dispersi molliter defluebant. Corona multiformis variis floribus sublimen destrinxerat verticem, cuius media quidem super frontem plana rotunditas in modum speculi vel immo argumentum lunae candidum lumen emicabat, dextra laevaque sulcis insurgentium viperarum cohibita, spicis etiam Cerialibus desuper porrectis multicolor, bysso tenui pertexta, nunc albo candore lucida, nunc croceo flore lutea, nunc roseo rubore flammida et, quae longe longeque etiam meum confutabat optutum, palla nigerrima splendescens atro nitore, quae circumcirca remeans et sub dexterum latus ad umerum laevum recurrens umbonis vicem deiecta parte laciniae multiplici contabulatione dependula ad ultimas oras nodulis fimbriarum decoriter confluctuabat.
 
traduzione
 
Cos? pregai versando lacrime e lamenti da far piet?, finch? nuovamente il sonno non vinse il mio animo spossato ed io non ricaddi l? dove m'ero steso poc'anzi. Ma avevo appena chiusi gli occhi, quand'ecco che sulla superficie del mare apparve una divina immagine, un volto degno d'esser venerato dagli stessi dei. Poi la luminosa parvenza sorse a poco a poco con tutto il corpo fuori dalle acque e a me parve di vederla, ferma, dinanzi a me. Mi prover? a descrivervi il suo aspetto mirabile se la povert? della lingua umana mi dar? la possibilit? di farlo o se quella stessa divinit? mi conceder? il dono di un'efficace e facile eloquenza. Anzitutto i capelli, folti e lunghi, appena ondulati, che mollemente le cascavano sul collo divino. Una corona di fiori variopinti le cingeva in alto la testa e proprio in mezzo alla fronte un disco piatto, a guisa di specchio ma che rappresentava la luna, mandava candidi barbagli di luce. Ai lati, a destra e a sinistra, lo stringevano le spire irte e guizzanti di serpenti e, in alto, era sormontato da spighe di grano. Indossava una tunica di bisso leggero, dal colore cangiante, che andava dal bianco splendente al giallo del fiore di croco, al rosso acceso delle rose, ma quello che soprattutto confondeva il mio sguardo era la sopravveste, nerissima, dai cupi riflessi, che girandole intorno alla vita le risaliva su per il fianco destro fino alla spalla sinistra e, di qui, stretta da un nodo, le ricadeva sul davanti in un ampio drappeggio ondeggiante, agli orli graziosamente guarnito di frange.
 

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